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libro iv. 249

     Ed antro sacro di Medea si noma
     1525Tuttavia quello, ove le Ninfe insieme
     Composero gli amanti, e li velâro
     Co’ lor pepli odoranti. In man fra tanto
     Brandiscono gli eroi le bellich’aste,
     Che d’improvviso l’inimica gente
     1530Non irrompa a battaglia, e di frondosi
     Ramoscelli la fronte inghirlandati,
     Del talamo alla soglia in modulate
     Voci Imeneo ne van cantando al suono
     Della cetra d’Orfeo. Voler non era
     1535Già di Giasone il celebrar sue nozze
     Nella terra d’Alcìnoo, ma in casa
     Del padre suo, reduce a Jolco; e questo
     Pur divisato avea Medea; ma l’uopo
     Or quivi all’opra marital li trasse.
     1540Noi miseri mortali intera gioja
     Mai gustar non possiamo; un che d’acerbo
     Sempre i diletti a perturbar ne viene;
     Quindi, benché di dolce amor godenti,
     Stavan quelli in timor se troverebbe
     1545Di quel re la sentenza adempimento.
Ma in suo divo fulgor surta l’Aurora
     La nera notte per lo ciel disciolse,
     E rideano le arene e i rugiadosi
     Sentier lunghi de’ campi. Un rumorio
     1550Nelle vie si propaga; il popol move
     Per la cittade, e su la riva estrema
     Son dell’isola anch’essi i Colchi in moto.