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248 argonautica.

     1495Ove un tempo albergò Macri, la figlia
     Di quel saggio Aristéo che primo seppe
     Il lavoro dell’api, e gemer fece
     Il pingue umor della compressa oliva:
     E fu Macri colei che primamente
     1500Nell’Abantide Eubea di Giove il figlio
     Bacco accolse al suo petto, e l’arso labbro
     Di miele gli spalmò poi che dal foco
     Mercurio il trasse, e il diede a lei. La vide
     Giuno, ed irata la cacciò di tutta
     1505L’isola in bando. Ella per lunga via
     Nel sacro de’ Feaci antro ne venne
     A far soggiorno, e a quelle genti immensa
     Largì dovizia. Or quivi i Minii un grande
     Letto stesero, e sovra il rifulgente
     1510Aureo Vello spiegâr per far più adorne
     Quelle nozze e onorate; e fiori anch’esse
     Varii e leggiadri vi recâr le Ninfe
     Entro a’ candidi seni: a par di fiamma
     Vivo chiaror le irraggiò tutte: un tanto
     1515Dall’auree lane si spargea fulgore,
     Che lor negli occhi una cupida voglia
     Di toccarle accendea; ma le contenne
     Religïon dal poner man su quelle,
     Desïose pur molto. Altre son figlie
     1520Del fiume Egeo; del Meliteo sui gioghi
     Abitan altre; altre di campi e boschi
     Eran cultrici, e convenir là tutte
     Le fe’ Giunon che di Giasone ha cura;