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238 argonautica.

     1210Verso lor si spingea. Misero! a lui
     Tosto quelle il ritorno avrebber tolto,1
     Ma d’Érice la diva alma Ciprigna
     Pietà n’ebbe, e dall’onde in salvo a stanza
     Su ’l Lilibèo benignamente il trasse.
     1215Di lui dolenti i Minii oltre le ree
     Cantatrici passâr, ma gìan del mare
     Più naufragosi ad incontrar perigli;
     Chè la stagliata rupe erta di Scilla
     Di qua sorge, e di là s’ode estuante
     1220Senza mai posa rimuggir Cariddi.
     Mormoravan di sotto alle grosse onde
     Più in là que’ massi erranti, a cui dal sommo
     Vertice un tempo ardente fiamma uscìa;
     Ed è l’aere di fumo ivi sì oscuro,
     1225Che i rai del Sol non ne intravedi. Avea
     Fatto tregua ai lavori allor Vulcano,
     E tuttavolta il mare un vapor caldo
     Esalava. Costà quali da un lato,
     Quali dall’altro le Nereidi accorsero,
     1230E dietro al legno la divina Teti
     Ella stessa la mano all’ala porse
     Del governale a ben drizzarne il corso
     Tra que’ mobili scogli. E come allora
     Che i delfin bonacciosi a galla in frotte
     1235Volteggiano dintorno a presta nave,
     E or dinanzi, or di retro, or dalle bande
     Veggonsi, e gioja a’ marinier ne viene;

  1. Var. al v. 1211. Elle tosto il ritorno avrebber tolto,