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libro iv. 233

     Io chiamai tutti i numi, e in mano io stessa
     Portai la face pronuba per segno
     1070Di benigna onoranza. Or ben palese
     Farti vo’ cosa che avverrà di certo.
     Quando agli Elisii campi il figliuol tuo
     Scenderà, cui del tuo latte bramoso
     Or là negli antri di Chiron Centauro
     1075Han le Najadi in cura, ivi è destino
     Ch’egli sposo a Medea figlia d’Eeta
     Divenga: or dunque alla futura nuore
     Vieni in soccorso, ed a Peléo tuo sposo.
     Perchè l’ira contr’esso è in te costante?
     1080È ver, fallì; ma fra gli dei pur anco
     Ate si mesce. Alla richiesta mia,
     Cred’io, Vulcano entro gli ardenti fochi
     Dal soffiar farà posa; Eolo de’ venti
     Infrenerà le furïose buffe,
     1085Sol Zeffiro spirar sempre lasciando
     Fin che verranno de’ Feaci al porto.
     Cura dunque tu pur la securtade
     Del lor ritorno. Or sol periglio e tema
     Son per essi li scogli e le grandi onde,
     1090E tu con altre delle tue sorelle
     Di camparneli adopra. E improveduti
     Non lasciarli addentrarsi entro Cariddi,
     Sì che tutti gli assorba, o nel funesto
     Speco di Scilla, dell’Ausonia Scilla,
     1095Cui di Forco produsse la notturna
     Ecate (che Crateide anco si noma),