Pagina:Apollonio Rodio - Gli Argonauti, Le Monnier, 1873.djvu/257


libro iv. 231

     1010De’ mantici il soffiar fin che passato
     Nè sia l’Argóo naviglio. Ad Eolo poi,
     Eolo che a’ venti aeronati impera,
     Vanne e gli esponi il mio voler, che tutti
     Tenga i venti nell’aere sospesi,
     1015Nè forte soffio il mar rabbuffi: il fiato
     Sol di Zeffiro spiri in fin che giunti
     Sien d’Alcinoo que’ prodi al suol Feace.
Si spiccò dall’Olimpo immantinente
     Iride a quel comando, e fendè l’aere,
     1020Le lievi ali scotendo, e giù s’immerse
     Nell’Egeo mar, dove ha Neréo sue case.
     Trovò Tetide in prima, e le fe’ conta
     Di Giunon l’ambasciata, e d’irne a lei
     Sollecitolla. Indi a Vulcan venuta,
     1025Agevolmente di posar l’indusse
     Le ferree mazze, e i mantici affumati
     Si trattenner dal soffio. Eolo d’Ippote
     Inclito figlio ritrovò per terzo;
     E mentr’ella esponendo il suo messaggio
     1030Dal precorso cammin prendea riposo,
     Ecco Teti che in mar Nereo lasciando,
     E le sorelle sue, poggia all’Olimpo,
     E a Giunon si appresenta. A sè dappresso
     Questa l’asside, e così a lei favella:
1035Or m’ascolta, alma Teti, odi che bramo
     Di ragionar con te. Sai quanto in pregio
     È nell’animo mio l’eroe Giasone
     E i compagni a’ cimenti, e com’io salvi