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230 | argonautica. |
Supplicante, e congiunta anco mi sei,
Non male alcuno io ti farò, ma parti,
985Vanne dalla mia casa in un con questo
Stranier qual ch’egli sia, che sconosciuto
Hai per compagno, avverso il padre, eletto.
Non più al mio focolar, nè a’ miei ginocchi
Starti innanzi pregando: i tuoi consigli
990Non lodo io, no, nè l’indecente fuga.
Disse, e immenso dolor l’altra comprese:
Tirò il peplo su gli occhi, e ruppe in pianto.
Giason per mano allor la piglia, e tutta
Palpitante, tremante la conduce
995Fuor della soglia, e abbandonâr di Circe
Il palagio ambidue. Nè ciò nascoso
Fu del Saturnio alla consorte: a lei
Iride l’avvisò, visti che gli ebbe1
Uscir di là, però che Giuno ad essa
1000Spiar commise e riferirle il quando
Fêan ritorno alla nave. Or premurosa
La dea dunque le disse: Iride amata,
Se mai fida compiesti i cenni miei,
Or su, librata in su le rapid’ali,
1005Vammi Teti a chiamar, che fuor del mare
Esca e a me venga; assai di quella ho d’uopo.
Varca quindi alle spiagge, ove rimbombano
Le ferree incudi di Vulcan battute
Da pesanti martelli, e di’ che cessi
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Var. ai v. 997-998. Fu alla consorte del Saturnio Giove,
Iri a lei l’avvisò poi che li vide