810Per l’ucciso figliuol, cui nell’opima
Laceria a lui Coronide divina
Partorì dell’Amiro appo la foce.
Tal fra’ Celti è la fama. I Minii intanto
Nè di cibi desìo, nè di bevanda 815Sollecitava, e a lieta idea nessuna
Si volgea la lor mente. Essi nel giorno
Giacevano languenti ed affannati
Dall’insoffribil puzzo, che dal fiume
Il fumante Fetonte ancor vapora, 820E nella notte dell’Eliadi suore
Udìan gli acuti luttuosi lai,1
E le lagrime lor, siccome stille
D’oleoso liquor, gocciâr su l’acque.
Del Rodano di poi nel cupo letto 825Entrâr, che nell’Eridano decorre,
E là dove con l’un l’altro si mesce
Rugghian l’onde allo scontro. Esce quel fiume
Dall’ima terra ove le porte e i seggi
Son della notte, e fuor di là correndo 830Parte nell’Oceán, parte ne sbocca
Nel Jonio, ed in parte entro il gran golfo
Della Sarda marina anco si getta
Da sette foci. Usciti poi dal fiume,
Passâr nelle lagune tempestose 835Che spandon di lor acque ampia distesa
Nelle terre de’ Celti. A trista sorte
Quivi incontro venìan, chè di quell’acque