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xiv | apollonio rodio. |
scrittori greci e latini;1 ma non pare tuttavia che godesse mai molta simpatia, colpa in gran parte senza dubbio la mediocrità della sua arte, e la mancanza di quei pregi che fanno di Omero il poeta di tutti i tempi e di tutti i popoli, e che in componimenti di lunga lena sono più necessari che nei brevi canti lirici; ma colpa anche in non piccola parte la sua lingua e il suo stile. La lingua d’Apollonio è in fondo il dialetto d’Omero, ma ei v’introdusse non poco di nuovo, attinto da altre fonti o creato da lui stesso. Usa parole e frasi nuove, o dà alle vecchie nuovo ed insolito significato; la frase alle volte è troppo concisa, e perciò meno chiara; lo stile, benchè nel suo complesso assai lodabile, riesce qua e là troppo artificioso. Qui pure il confronto con Omero, che contro voglia ci si caccia sempre di mezzo parlando d’un poema epico, nuoce al nostro poeta. La frase lucida, trasparente, plastica di Omero ci fa sembrare pesante e oscuro il poeta alessandrino.
Gli Argonauti erano già stati tradotti in italiano dal cardinale Lodovico Flangini in sulla fine del secolo scorso. La versione è abbastanza fedele ed elegante, fatta sul testo di Brunck, che fu pubblicato insieme;2 tuttavia non si ebbe molti lettori, e oggidì ben pochi certamente la conoscono. Per questo con-
- ↑ La prima edizione è del 1496 in-4, cogli scolii greci, pubblicata in Firenze da L. F. Alopa.
- ↑ L’Argonautica di Apollonio Rodio, tradotta ed illustrata dal cardinale Lodovico Flangini, Roma, per Monaldini, 1791-94, vol. 2, in-4. Il secondo volume contiene una ricca mèsse di varianti, tratte da quattro Codici vaticani.