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libro iv. 209

     Tutti acclamâr di quella via doversi
     Tener la traccia, perocchè vêr quella
     Un lungo solco di celeste luce
     385Nell’aere si traea. Lieti per tanto,
     Di Lico il figlio ivi lasciando, e il guardo
     Pur rivolgendo a’ Paflagonii monti,
     Correano il mar con dispiegate vele;
     Nè Carambi appressâr, chè l’aure e il raggio
     390Del celeste splendor furon lor guida
     Fin che giunser del grande Istro alle foci.
De’ Colchi intanto altri, cercando indarno
     Raggiungere i fuggenti, in fra le rupi
     Cïanée tragittando, uscian dal Ponto;
     395Altri, su’ quali avea comando Absirto,
     Entrâr su per lo fiume in quella foce
     Che Bella è detta, e precedendo i Minii,
     Corser per quello infino al seno estremo
     Del mare Jonio. Ove suo sbocco ha l’Istro,
     400Ivi un’isola sta (Pence è nomata)
     Triangolar, che verso il Ponto estende
     Lunga la base, e si converge acuta
     Contra il corso del fiume, ond’esso in due
     Quivi si parte, ed ha nel mar due foci;
     405Di cui l’una è Nareco, e l’altra al basso
     Bella foce è nomata; e via per questa
     Corser più ratto con Absirto i Colchi,1
     E dell’isola i Minii infino al sommo
     Navigaron per l’altra. Armenti e greggie

  1. Var. al v. 407. Corse più ratto co’ suoi Colchi Absirto,
Bellotti. 14