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xii | apollonio rodio. |
che il tentativo richiedeva l’opera di un genio più potente e inventivo.
Eppure gli Argonauti piacquero agli antichi, e ancora oggidì si leggono con piacere. Egli è che il poeta possiede l’arte difficilissima del narrare e del descrivere con verità ed evidenza, come ne può essere esempio la descrizione del modo con cui fu varata la nave Argo (Libro I, versi 519-558, della traduzione 651 e seg.); e la celebre descrizione della notte nel Libro III (versi 743-749, della traduzione 974-985), citata da tutti gli antichi retori, e felicemente imitata da Virgilio; e la narrazione del soggiorno degli Argonauti presso Fineo nel II Libro. L’accendersi della passione amorosa nel cuore di Medea per l’Eroe greco venuto fra tanti rischi a ricuperare il Vello d’oro, è descritto con molta arte, e con finezza e verità d’osservazione psicologica; e il racconto tutto, se non è variato vagamente da episodi, procede tuttavia sempre lesto e misurato, con giuste proporzioni, senza nojose lungaggini. Ove poi la poesia scenda dall’altezza dell’epopea per accostarsi all’idillio o all’elegia, essa acquista espressione migliore, e maggior calore; si sente che questa era la vera forma poetica di quei tempi, e che anche Apollonio, benchè si fosse messo deliberatamente per altra via, ne subiva forse senza accorgersi l’influenza; e si indovina che, se egli avesse preferito questo genere di componimenti dal maestro consigliato, avrebbe forse potuto riuscire fortunato rivale di lui; forse meno elegante nella forma, meno terso nella lingua, ma certo più affettuoso e appassionato; poichè, ove gli cade opportuno, egli sa toc-