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libro iii. 193

     Gli precidan le biade, adunca falce
     Ben affilata in man si piglia, e ratto
     1810Ne miete acerbe tuttavìa le spiche,
     Nè attender vuol che dell’estivo sole
     Il calor le maturi; a tale imago
     De’ giganti l’eroe mèsse facea;
     E pieni i solchi ne correan di sangue,
     1815Come gore di fonti. Ed altri a terra
     Cadean proni, e co’ denti il terren duro
     Mordean; altri supini, altri di fianco,
     Giù il cubito battendo; e di balene
     Sembianza avean quelle corporee moli.
     1820E i molti che feriti erano pria
     Di trarre i piè fuor della terra, quanto
     Su col busto emergean, tanto su ’l suolo
     Co’ gravi capi ripiombavan giù.
     Allor, come se i teneri arboscelli
     1825Nell’albereta, intorno a cui fatiche
     Pose e cure il cultor, per lo soverchio
     Di gran pioggie rovescio a terra cascano
     Con le rotte radici, acerbo e grave
     Duolo al padron che gli allevò, s’apprende;
     1830Così forte nel cuor del sire Eeta
     Entrò tristezza, e alla città ritorse
     Il cammin fra’ suoi Colchi, escogitando
     Come a’ Minii avversar più duramente.
     Tramontò il giorno, e dall’eroe compiuta
     1835Tutta era già la travagliosa impresa.



Bellotti. 13