Gli precidan le biade, adunca falce
Ben affilata in man si piglia, e ratto 1810Ne miete acerbe tuttavìa le spiche,
Nè attender vuol che dell’estivo sole
Il calor le maturi; a tale imago
De’ giganti l’eroe mèsse facea;
E pieni i solchi ne correan di sangue, 1815Come gore di fonti. Ed altri a terra
Cadean proni, e co’ denti il terren duro
Mordean; altri supini, altri di fianco,
Giù il cubito battendo; e di balene
Sembianza avean quelle corporee moli. 1820E i molti che feriti erano pria
Di trarre i piè fuor della terra, quanto
Su col busto emergean, tanto su ’l suolo
Co’ gravi capi ripiombavan giù.
Allor, come se i teneri arboscelli 1825Nell’albereta, intorno a cui fatiche
Pose e cure il cultor, per lo soverchio
Di gran pioggie rovescio a terra cascano
Con le rotte radici, acerbo e grave
Duolo al padron che gli allevò, s’apprende; 1830Così forte nel cuor del sire Eeta
Entrò tristezza, e alla città ritorse
Il cammin fra’ suoi Colchi, escogitando
Come a’ Minii avversar più duramente.
Tramontò il giorno, e dall’eroe compiuta 1835Tutta era già la travagliosa impresa.