di un tutto. La descrizione dei luoghi percorsi dagli Argonauti aveva certo maggiore interesse per gli antichi, di quello che essa abbia per noi, ai quali pare spesso monotona e prolissa. Gli episodi che, divertendo l’attenzione del lettore dall’argomento principale, ricreano l’animo, e servono anche a dare luce maggiore e risalto alle altre parti del poema, e v’aggiungono varietà e colore, sono rari in questa epopea e poco interessanti. I caratteri degli eroi sono tratteggiati qua e là con qualche tocco giusto ed efficace, ma in complesso sono assai lontani dal plastico rilievo dei caratteri omerici. Gli eroi d’Apollonio al confronto di quelli d’Omero sono ombre che si muovono silenziose nel vuoto; l’intervento continuo e inopportuno di Giunone o di altri Dei toglie ogni grandezza al carattere di Giasone, che dovrebbe essere l’eroe principale. La figura meglio dipinta e colorita è quella di Medea, come è pur quella che spicca maggiormente fra tutte nel quadro; ma la Medea degli Argonauti non è la Medea, donna e demone insieme, di Euripide; è una fanciulla innamorata, affettuosa, sentimentale, come le fanciulle di tutti i tempi e di tutti i paesi; è più amabile che terribile, più donna che eroina. Nella composizione della materia e nei caratteri dei personaggi il poema d’Apollonio, se non ha gravi difetti, non ha certamente alcun pregio particolare; e noi, posti giudici fra il vecchio Callimaco, che credeva avversi i tempi al rifiorire dell’epopea eroica, e Apollonio, che con giovanile baldanza ne tenta la prova, dovremmo dare ragione all’assennatezza del primo, o riconoscere per lo meno