Con mesto favellar così dicea:
Bello in Grecia sarà far d’amistade
Patti e serbar; ma non già tale Eeta
È qual esser Minosse a noi dicevi, 1440Nè Arïanna io pareggio. Or qua di fida
Ospital cortesìa non far discorso.
Sol di me, poi che a Jolco sarai giunto,
Abbi memoria; ed io di te, malgrado
Pur de’ parenti miei, ricorderommi. 1445Deh qualche voce di colà mi venga,
O qualche nunzio augel tosto che oblio
Di me ti prenda; o sovra il mar mi portino
Rapidamente le procelle a Jolco,
Perch’io là possa innanzi agli occhi tuoi 1450Rimproverarti, e ricordar che salvo
Fosti per opra mia! Deh ch’io potessi
Improvviso in tue case allor trovarmi!
Di miserande lagrime le gote,
Ciò dicendo, inondava. Ed ei riprese: 1455Lascia, o gentile, ir le procelle vuote;
Lascia ir gli augelli annunzialori: a torto1
Ne domandi l’officio. Oh se a que’ lidi,
Se tu verrai là nell’Ellena terra,
Dalle donne e dagli uomini sarai 1460Riverita, osservata, e come a Dea
Ti faranno onoranza e questi e quelle,
Di cui per favor tuo figli e fratelli
E mariti ed amici a tristo fato
↑Var. al v. 1456. Lascia l’annunzio ir degli augelli: a torto