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x apollonio rodio.

nuove arti magiche addormentò il serpente che lo custodiva, e rapitolo fuggi con Giasone, il quale attraverso a mille e strane avventure ritornò felicemente in Grecia. Tale è il mito cantato negli Argonauti di Apollonio, mito che era già stato più volte argomento di poema, e che già Omero dice noto e decantato da tutti (Odiss., 12, 66: πασιμέλουσα). Quali ragioni abbiano indotto Apollonio a scegliere a soggetto del suo poema questo mito, difficilmente può oggidì indovinarsi; forse l’interesse che le tradizioni mitologiche ed eroiche destavano allora vivissimo in tutta la Grecia, intenta come era a ricostruire minuziosamente il suo passato, determinò la scelta del poeta. La natura stessa della favola, la quantità dei paesi percorsi dall’Eroe, la varietà delle vicende incontrate, le difficoltà d’ogni genere opposte dai luoghi, dagli uomini e dagli Dei all’impresa, la grandiosità tradizionale dei caratteri dei molti eroi che vi presero parte, rendevano questo mito assai adatto ad essere argomento di epico poema. Se non che Apollonio non seppe forse trarre dall’argomento tutto quel profitto, che un poeta dotato di più vivace e fervida fantasia, e meno preoccupato dell’esattezza d’ogni particolare nelle tradizioni mitiche avrebbe saputo ricavarne. Negli Argonauti di Apollonio la vera azione epica, se non manca del tutto, vi è certo assai poco sviluppata. Manca al poema ogni intreccio. Apollonio non rapit auditorem in medias res non secus ac notas, come più tardi prescrisse Orazio, ma orditur ab ovo. I fatti sono distribuiti in ordine cronologico, ed è questo spesso l’unico vincolo che li leghi e li faccia far parte