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libro iii. 169

     Negro un licor, qual da montano faggio,
     In Caspio nicchio, e un farmaco ne fece,
     1125Poi che preso in perenni acque lavacro
     Ebbe pria sette volte, ed altrettante
     Brimo invocata, di garzoni altrice,
     Brimo nottivagante, e giù nell’Orco
     Degli estinti regina. E ciò nel bujo
     1130Fêa della notte, in negre vesti avvolta;
     E la terra di sotto orribilmente
     Muggendo si scotea, quando recisa
     Venìa quella Titanica radice,
     E per grave dolor lo stesso figlio
     1135Di Giapeto piangea. Tolto dall’urna
     Quel farmaco Medea, lo si ripose
     Nel profumato lin che le ricinge
     L’ambrosio petto, e fuori uscendo ascese
     Sovra il celere cocchio, e due con lei
     1140Vi montarono ancelle ad ambo i lati.
     Pigliò dessa le guide, e nella destra
     La scutica impugnata, i muli spinse,
     La città traversando, e l’altre ancelle
     Dietro alla conca del cocchio aggrappatesi
     1145Con l’una man, per l’ampia via correvano,
     E con altra tenean le lievi tuniche
     Al candido ginocchio alto levate.
     Quale dappoi che nelle tepid’acque
     Si bagnò del Partenio o dell’Amniso
     1150La figlia di Latona, in aureo cocchio
     Tratta ne va dalle veloci damme