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libro iii. 165

     Nè i farmachi a lui dar, ma inoperosa
     Sostener la sua sorte. Indi s’asside
     1010In gran dubbii ondeggiando, e sì favella:
     Trista me! d’ogni parte in guai mi trovo:
     È la mia mente attonita; non evvi
     Rimedio alcuno a questo mal; più sempre
     Forte divampa. Oh da’ volanti strali
     1015D’Artemide foss’io stata trafitta
     Pria di vederlo, pria che all’Achea terra
     Si fosser vòlti di Calcìope i figli
     Che un dèmone o un Erinne or qua per nostra
     Dolorosa sventura ha ricondotti!...
     1020Ch’egli pêra pugnando, se destino
     Gli è di perir là su quel campo. E come
     Poss’io d’ascoso da’ parenti miei
     I farmachi apprestar? che dirne ad essi?
     Quale inganno adoprar? come soccorso
     1025Porgere a lui furtivamente? O forse
     Lui sol disgiunto da’ compagni suoi
     Di veder farò prova, e d’abbracciarlo?
     Misera me! chè s’ei pur muore, io pace
     Non però sperar posso; anzi gran duolo
     1030Allor n’avrò che spento ei fia di vita.
     Orsù, bando al pudor, bando al decoro!
     Salvo ei sia per mio mezzo, e illeso poi
     Vadane ovunque andar gli piace; ed io,
     Io, poi ch’egli compiuto avrà il certame,
     1035Quel dì stesso morrò, sia che dal palco
     Penda avvinta alla gola, o che trangugi