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libro iii. 163

     950Si tinse in volto, ma di nebbia un velo
     Tosto lo ricoperse, e sì rispose:
     Come, o sorella, è a voi gradito e caro,
     Così farò. Non del diman riluca
     L’aurora agli occhi miei, nè tu mi vegga
     955Vivere ancor, se alcuna cosa io stimo
     Più della vita tua, più de’ tuoi figli
     Che a me son cari di fraterno affetto,
     E d’età pari; ed io stessa mi tengo
     E suora e figlia tua, però che infante
     960M’hai col latte del tuo petto nudrita
     Al par de’ figli tuoi, com’io narrarmi
     Sempre udii dalla madre. Or va, ma cela
     Nel silenzio il favor che ti promisi,
     A’ genitori miei. Col dì novello
     965N’andrò d’Ecate al tempio, ivi portando
     Farmachi acconci ad ammansar que’ tori
     All’uom, cagion che tanta lite insurse.
Calcìope allora uscì di quivi, e a’ figli
     N’andò l’aita ad annunziar promessa
     970Dalla sorella sua. Pudor, timore
     Prese questa di nuovo allor che sola
     Si ritrovò, che fermo abbia tal cosa
     Far per quell’uomo, inconsultato il padre.
La notte intanto su la terra steso
     975L’oscuro velo avea. D’insù le navi
     I nocchieri nel mar fisso lo sguardo
     Tenean dell’Orsa e d’Orïone agli astri;
     E già brama del sonno il viandante