Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
162 | argonautica. |
T’inseguirò Furia crudel dall’Orco.
Diè, ciò dicendo, in un profuso pianto,
925E le ginocchia con ambe le mani
A lei strinse, e la testa in sen le pose.
Quindi alzarono insieme un doloroso
Gemito, e per le stanze un di lamenti
Fioco suon si diffuse. E pria con mesto
930Accento di dolor disse Medea:
Cara! e qual mai rimedio oprar poss’io
A cessar le tue dire imprecatrici
E l’Erinni onde parli? Oh de’ tuoi figli
Fosse certo lo scampo in me riposto!
935Ma pur n’attesto — e giuramento sommo
Quest’è de’ Colchi, — il magno Ciel n’attesto,1
E l’ima Terra, degli dei gran madre,
Che, quanto è in me, se di possibil cosa
Mi chiederai, non mancherò nell’uopo.
940Tacque, e Calcìope soggiungea: Tu dunque
Pur non vorrai per quell’eroe straniero
(Che il brama anch’esso) una qualch’arte, un qualche
Mezzo trovar che nel certame il salvi.
Per amor de’ miei figli? Argo qua mosse
945Or mandato da lui per incitarmi
A cercar tuo soccorso; ond’io, lasciato
Lui fra tanto in mie stanze, a te ne vengo.
Si commosse di gioja il cuor nel petto
Per quei detti a Medea. Di bel vermiglio
- ↑
Var. ai v. 935-936. Ma n’attesto (e de’ Colchi è il sommo giuro
Questo a che tu mi spingi) il Ciel superno,