Il suo letto solingo, piange e tace,
Perchè beffarde un oltraggioso scherno
Non ne faccian le donne; in simil guisa
Dolevasi Medea. Di ciò s’accorse 870Quivi sopraggiungendo una di sue
Giovani ancelle, e incontanente avviso
A Calcìope ne diè, che fra’ suoi figli
Stavasi appunto a consultar del come
Procacciarsi il favor della sorella. 875Nè l’annunzio impensato ella restìa
A creder fu, ma paventosa corse
Dalla sua stanza a quella ove l’afflitta
Giacea gemendo, e con ambe le mani
Graffiandosi le gote; e a lei suffusi 880Visto gli occhi di lagrime, le disse:
Ohimè, Medea! che hai? perchè ne versi
Queste lagrime? di’ che mai t’avvenne?
Quale acerbo t’assale aspro cordoglio?
T’incolse forse alcun morbo le membra 885Per divino volere, o forse udisti
Qualche dal genitor fiero rabbuffo
Contro a me, contro a’ figli? Oh me veduta,
Nè questa casa avesse mai, nè questa
Città, ma stato ognor foss’egli in terra 890Ove fosse de’ Colchi ignoto il nome!1
Sì disse, e all’altra s’infiammâr le gote;
E risponder volea, ma virginale
Pudore a lungo dal parlar la tenne.
↑Var. al v. 890. Ove nè giunto è pur de’ Colchi il nome!