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libro iii. 159

     De’ genitori miei. Che s’io potessi
     Piegar mai questo saldo animo mio,
     Nulla senza la suora io tenterei;
     840E se in pro de’ suoi figli ella d’aïta
     Mi richiedesse nel feral cimento,
     Ciò il fiero duol mi ammorzerebbe in cuore.
Disse, e in piè surta aprì le porte, e scalza
     E con sola una veste, impazïente
     845Di trovar la sorella, oltre la soglia
     Fuor si spinse; ma poi dalla vergogna
     Rinfrenata arrestossi, e si ristette
     Nel vestibolo a lungo, e indietro volta
     Poi tornò dentro, e fuor n’uscì di nuovo,
     850E nuovamente entro fuggì, siccome
     Or qua or là l’insano piè la porta.
     Quando fuor prorompea, dentro il pudore
     La ritirava, indi il desio più audace
     Fuori ancor la spingea. Tentò tre volte
     855Uscir; tre volte s’arrestò; la quarta
     Cadde prona nel letto, e vi s’involse.
     Come se giovinetta il bel garzone
     Piange, a cui fidanzata era dal padre
     E da’ fratelli, e pudibonda e saggia
     860Non con le ancelle sue si mesce, e siede
     Nel più interno recesso addolorata
     Per lui, cui trasse avverso caso a morte
     Pria che de’ mutui loro intendimenti
     Godessero il diletto: ella, quantunque
     865Il duol la strazii, ad or ad or mirando