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libro iii. | 155 |
Che per questo presagio il cuor mi dice!
725Su via, compagni! Or Venere invocando,
D’Argo obbedite al consigliar sagace.
Tutti fêr plauso a’ detti suoi, gli avvisi
Di Finéo rammentando. Ida sol esso
Balzò in piè corruccioso, e con gran voce:
730Oh Dei (sciamò)! noi qua venimmo adunque
Con di donne uno stuol che di Ciprigna
Implorano l’ajuto, e non di Marte
L’alta possa. A mirar colombe e falchi
Quindi attendete, e ad evitar cimenti.
735Via di qua, vili! e più pensiero in voi
Non sia d’opre di guerra: ite co’ preghi,
Ite a sedurre giovinette imbelli.
Sì dicea dispettoso; e un sordo murmure
Molti ne fêan, ma di risposta verbo
740Nessun proferse. Ei s’assettò sdegnato;
Di che tosto Giasone, i proprii spirti
Incitando, sì disse: Argo là vada,
Poi che a tutti ciò piacque; e noi, dal fiume
Tratta a terra la nave, apertamente
745L’amarreremo. È sconvenevol cosa
Lo star più ascosi, e paventar la pugna.1
Detto ciò, senza indugio Argo di nuovo
Alla città spedìa: gli altri al comando
Di Giasone obbedìan, l’áncora in nave
750Su ritraendo, e dal palude a terra
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Var. ai v. 745-746. Gitteremvi le funi. A noi sconviene
Star, tementi la pugna, a lungo ascosi.