Dolendosi mettea questi lamenti: 610Perchè, misera me! perchè mi prende
Cotesta angoscia? O di que’ Greci eroi
Perir debba il più prode o il più codardo,
Pêra!... Ma quegli ah salvo scampi e illeso!
Deh sì ciò avvenga, o veneranda dea, 615Di Perse figlia! Alle sue case ei torni,
Sfuggito a morte. E se destin pur fosse
Che da’ tori sia spento, oh sappia almeno,
Sappia egli pria, ch’io del suo mal non godo!
Conturbata così, così la mente 620Agitata ha Medea. Fuor quelli intanto
Della città venìan la via, che pesta
Avean già, ricalcando. Ed Argo allora
A Giason rivolgea queste parole:
Figlio d’Eson, quel ch’io dirò, tu forse 625Non loderai; ma nelle afflitte cose
Niuna prova lasciar vuolsi intentata.
Dir già udisti da me che una donzella
È in quella reggia, delle magich’arti
Dalla stessa Perseide Ecate instrutta. 630Se farla a noi possiam propensa, io stimo,
Più non evvi timor che nel cimento
Vinto tu resti. Assai sospetto ho in vero,
Che a me la madre mia ciò non assenta,
Ma ogni modo io colà fatto ritorno 635Del favor suo la pregherò; chè morte
A noi tutti commun pende su ’l capo.
Tal fe’ saggia proposta; e l’altro a lui: