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libro iii. 149

     Mi fanno intorno, ed io con l’asta tutti
     Li metto a morte. Aggiogo i tori all’alba;
     Cesso a sera la mèsse. Or se tal’opra
     555Tu compirai, lo stesso dì quel Vello
     Ne porterai per lo tuo re; ma pria
     No ’l dono io, no; non lo sperar. L’uom forte
     Non si convien che all’uom più fiacco ceda.
Questo ei dicea: tacito l’altro, e gli occhi
     560Fissi a’ piè se ne stava irresoluto
     In sì grave frangente. Assai consigli
     Volse e rivolse entro la mente a lungo,
     Nè una franca trovava util risposta
     A proferir, chè troppo ardua l’impresa
     565Pareagli. Alfin così dicea prudente:
     Eeta, inver, tuo dritto usando, a troppo
     Gran cimento mi stringi: io non per tanto,
     Quantunque immane, il sosterrò, se morte
     Anco me n’ venga. Altro più l’uom non urge
     570D’una fatal necessitade, e dessa
     Me qua venir per lo re Pelia astrinse.
Tristo e dolente ei sì diceva; e quegli
     Tali a lui sopraggiunse aspre parole:
     Va dunque a’ tuoi, poi che il cimento accetti;
     575Ma se poi temerai porre a que’ tauri
     Su ’l collo il giogo, e sfuggirai da quella
     Mèsse omicida, io ben farò che altr’uomo
     Tremi innanzi venirne ad uom più forte.
Aspramente sì disse. Allor dal seggio
     580Surse Giasone, e surse Augéa con esso,