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libro iii. | 143 |
Che di sue man co’ lavorii di lane
Campa la vita, intorno al tizzo aduna
Nella notte la stipa a fin che possa,
Quindi innanzi al mattin desta sorgendo,
390Svegliar la fiamma; e da quel picciol tizzo
Grande questa si eleva, e tutte in cenere
Strugge le stoppie: in simil guisa ardeva
Sotto il cuore a Medea nascosamente
Amor fiero, e per ansia or di pallore
395Le belle gote, or di rossor tingea.
Poi che i famigli han di vivande a quelli
Imbandite le mense, e ristorati
Si fûr essi con tepidi lavacri,
Ebber di cibi e di bevande a grado
400Prender conforto. Al fin del pasto a’ figli
Della propria sua figlia il sire Eeta
Volgea queste parole: O voi figliuoli
Di mia figlia e di Frisso, al qual più feci
Che ad ogni altr’uomo in nostra casa onore,
405Perchè ad Ea ne tornate? O qual vi colse
Nel viaggio sventura? A me credenza
Dato voi non avete, a me che lunga
Vi dicea fuor di modo esser la via
Che tentar volevate. Io già ’l sapea
410Fin dal dì che del Sol, genitor mio,
Girai nel cocchio allor che Circe ei volle,
La mia suora, portar d’Esperia ai lidi,1
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Var. ai v. 411-412. Fei nel cocchio gran giro, allor che Circe
Sorella mia d’Esperia ai lidi addusse,