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libro iii. 141

     Calcìope e Medea. Questa allor fuori
     Di sua camera uscìa per girne a quella
     330Della suora (chè Giuno a studio in casa
     Ritenuta l’avea, solita andarne
     D’Ecate al tempio, e tutto il dì, ministra
     Della dea, rimanervi); or quei veggendo
     Colà stanti, diè un grido. Udì quel grido
     335Calcìope, e a terra gomitoli e fusi
     Gittâr le fanti, e tutte fuor con lei
     Corsero; ed essa i figli suoi tra quelli
     Vide, e le mani alto slanciò per gioja;
     E lieti anch’essi in riveder la madre,
     310La salutan, l’abbracciano. Con voce
     D’amoroso lamento ella sì disse:
     No! da me che incuranti abbandonaste,
     Voi lungi andar non potevate: il fato,
     Ecco, addietro vi torna. Oh qual, me lassa!
     345Qual per mala ventura a voi s’apprese
     Della Grecia desio, troppo di Frisso
     Padre vostro al comando obbedïenti?
     Ben ei morendo al nostro cuor gran duolo
     Con tal comando inflisse. E come voi,
     350Per redar d’Atamante, alla cittade
     D’Orcòmeno migrar (qual che cotesto
     Orcòmeno pur sia) bramar poteste,
     La madre vostra abbandonando in pianto?
Sì dicea quella. Indi fuor venne Eeta
     355E la consorte Idìa che il querelarsi
     Di Calciope udì. Tutto in un punto