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124 argonautica.

     1635Onorando compagno. A noi le forze
     Non mancan sì ch’esser crediam d’Eeta
     Nel periglio dell’arme inferïori.1
     Ben di guerra periti anzi là stimo
     Che n’andrem noi, noi che per poco nati
     1640Non siam del sangue degli dei. Se quindi
     L’aureo Vello quel re cortesemente
     Non ne darà, nulla potran de’ Colchi
     A lui giovar tutte le genti, io spero.
A vicenda così seguìa fra loro
     1645L’alterno ragionar, fin che di cibo
     Sazii poi s’addormîro. Al primo albore
     Risvegli e surti, aura proprizia ad essi
     Tosto spirò. Le vele issâr, che a’ soffi
     Si tesero del vento, e in breve il lito
     1650Dietro lasciâr dell’isola di Marte.
     Sopraggiunta la notte, oltrepassâro
     L’isola Filireide. Ivi Saturno,
     Figliuol d’Urano, allor che impero in cielo
     Avea sopra i Titani, e Giove infante
     1655Nell’antro in Creta da’ Cureti Idei
     Venia crescendo, un amoroso frodo
     A Rea fe’ un dì, con Filira giacendo,
     Ma la dea si fu accorta, e i due nel letto
     Colse improvvisa. Ei, su balzando, a fuga
     1660Ratto via ne scampò, trasfigurato
     In giubato cavallo; e di vergogna
     L’Oceánida Filira compresa

  1. Var. al v. 1637. Inferïori al paragon dell’armi.