1635Onorando compagno. A noi le forze
Non mancan sì ch’esser crediam d’Eeta
Nel periglio dell’arme inferïori.1
Ben di guerra periti anzi là stimo
Che n’andrem noi, noi che per poco nati 1640Non siam del sangue degli dei. Se quindi
L’aureo Vello quel re cortesemente
Non ne darà, nulla potran de’ Colchi
A lui giovar tutte le genti, io spero.
A vicenda così seguìa fra loro 1645L’alterno ragionar, fin che di cibo
Sazii poi s’addormîro. Al primo albore
Risvegli e surti, aura proprizia ad essi
Tosto spirò. Le vele issâr, che a’ soffi
Si tesero del vento, e in breve il lito 1650Dietro lasciâr dell’isola di Marte.
Sopraggiunta la notte, oltrepassâro
L’isola Filireide. Ivi Saturno,
Figliuol d’Urano, allor che impero in cielo
Avea sopra i Titani, e Giove infante 1655Nell’antro in Creta da’ Cureti Idei
Venia crescendo, un amoroso frodo
A Rea fe’ un dì, con Filira giacendo,
Ma la dea si fu accorta, e i due nel letto
Colse improvvisa. Ei, su balzando, a fuga 1660Ratto via ne scampò, trasfigurato
In giubato cavallo; e di vergogna
L’Oceánida Filira compresa