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libro ii. 119

     Dell’isola gettò nel fitto bujo
     1500Della notte. Cessò l’orrido nembo
     Col sol nascente, e quelli a caso errando
     Si scontraron co’ Minii, ed Argo, un figlio
     Di Frisso, il primo a favellar prendea:
Deh noi per Giove Altiveggente or voi
     1505Preghiam, quali che siate, a raccettarne
     Benignamente, e ad aitarne in tanta
     Nostra sventura! Imperversando in mare
     Una fiera procella, i legni tutti
     Della nave, in che noi lassi! eravamo,
     1510Sconfisse, sperperò barbaramente;1
     Sicchè noi vi preghiam, se d’esaudirne
     Pur v’aggrada, che un qualche a ricoprirne
     Panno ne diate, e che pietà vi prenda
     D’uomini a voi d’età pari, e infelici!
     1515Deh per Giove Ospitale e protettore
     De’ supplici, rispetto a noi portate:
     Supplici e peregrini a Giove cari
     Sono, e benigno anco riguarda a noi.2
E d’Esone il figliuol che di Finéo
     1520Già compirsi avvisava i vaticinii,
     Con accorta dimanda a lui rispose:
     Tutto a voi tostamente e di buon grado
     Presterem noi; ma dimmi or tu verace
     Di che terra voi siete, e qual bisogno

  1. Leggo, non νηὸς ἀεικελίης, come tutti leggono, ma ἀεκελίως, avverbio, usato da Omero in simile concetto. Come epiteto, qui non ha buon senso.
  2. Var. al v. 1518. Sono, e tien fisso anco su noi lo sguardo.