1470Quando Giove a soffiar di Borea mosse
La veemenza, con acquoso nembo
Accompagnando il sorgere d’Arturo.
Dappria nel dì solo de’ monti il vento
Le foglie in vetta alle più eccelse piante 1475Lieve scotea, ma nella notte immenso
Piombò su ’l mare, e levò i flutti in alto
Fieramente fischiando. Atra caligine
Ravvolse il ciel; chiuso da nubi al guardo
Più degli astri il fulgor non apparia, 1480E fuso è intorno un tenebroso bujo.
Maceri e in paventosa ansia di morte
Gìan que’ figli di Frisso trasportati
Qua e là dall’onde, e già strappate il turbo
Avea le vele, ed ecco in mezzo or spezza 1485La dai marosi conquassata nave.
Inspirati da’ numi allor que’ miseri
S’abbrancâr tutti quattro a un grosso legno,
Uno de’ molti che con chiovi acuti
Pria ben commessi, ora, il naviglio infranto, 1490Galleggiavan disgiunti; e l’onda e il vento
Li sospinsero all’isola, di forze
Spenti, e a poco da morte. Allor di pioggia
Un gran torrente si versò, che il mare
Prese, e l’isola tutta e il continente 1495Che a rincontro vi sta, dagli oltraggiosi
Mossineci abitato; ed essi i figli
Di Frisso in un con la gran trave l’impeto
Della gonfia marea sovra le sabbie