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libro ii. 109

     1215Che dall’Indiche genti alla natìa
     Tebe tornando, celebrò sue feste,
     E danzar fe’ suoi cori innanzi all’antro
     Che a lui d’aula fu in vece a riposarsi
     Le sacre notti; onde quel fiume poi
     1220Callìcoro fu detto, Aulio quell’antro.
Dell’Attóride Stenelo la tomba
     Videro poi, di lui che dalla guerra
     Delle Amazoni, ov’ito era compagno
     Ad Alcide, tornando, di saetta
     1225Estinto giacque in quel marino lido.
     Non ancor trapassati, ecco la stessa
     Dea Proserpina a lor suscitò l’ombra
     Dell’Attóride eroe, che lagrimando
     La pregò di poter quelle un istante
     1230Genti mirar compatriote. E surta1
     Del tumulo su ’l colmo contemplava
     L’Argóo naviglio. Era in sembianza tale,
     Quale a battaglia andar soleva; e bello
     Di quattro coni e di purpurea cresta
     1235Gli sfolgorava adorno un elmo in fronte.
     Tale apparve, e nel bujo atro d’Averno
     S’affondò nuovamente. A quella vista
     Stettero i Minii di stupor colpiti;
     E d’Ampico il figliuol, Mopso profeta,
     1240Quivi gli esorta a soffermarsi, e l’ombra
     Propizïar con libamenti; ed essi
     Strinser tosto la vela, e fuor su ’l lido

  1. Var. al v. 1230. Genti mirar di sua contrada. E surta