Non l’avea mai, chè solitario, occulto
Nel lagume vivea. Ma, mentre Idmone 1105Su i rialti lo stagno attraversava,
Ecco, d’onde che fosse, ecco la belva
D’in fra le canne spiccando un gran salto,
L’ischio gli addenta furïosa, e i nervi
Ne squarcia e l’osso. Alto diè un grido il misero, 1110E cadde. Un grido al suo cader da tutti
Alto echeggiò. Ratto uno stral Peléo
Scoccò contra il cinghiai che nel marese
Rifuggìa: si ritorse impetuoso
Il feroce animale ad assaltarlo; 1115Ma d’asta Ida il ferì, sì che ruggendo
Stramazzò su l’infitto acuto ferro.
Quivi spento il lasciâro, ed alla nave
Mesti i compagni ne portâr quel prode
Già boccheggiante, che de’ cari amici 1120Fra le braccia spirò l’ultimo spiro.
Quindi al pensier della partenza imposto
Fu indugio, e tutti attesero dolenti
L’estinto a funerar. Tre interi giorni
Lo piansero, e nel quarto sepoltura 1125Gli diêr solennemente, e in un concorse
Con lo stesso re Lico il popol tutto
Alla pia cerimonia, e mortuali
Agnelle assai sgozzaron su la tomba,
Cui di terra ammontarono, e (segnale 1130Anco a veder da’ posteri) piantato
Poco di sotto all’Acherusia vetta,