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libro ii. 103

     1050Ne’ funebri certami il poderoso
     Vinse pugile Titia, il qual su tutti
     Primeggiava i garzoni in eccellenza
     E d’aspetto e di forza; e Alcide a lui
     Cacciò di bocca insù la terra i denti.1
     1055Co’ Misii poi fe’ al padre mio soggetti,
     E i Frigi che le terre hanno con noi
     Conterminanti, e le tribù Bitine
     Col tenimento lor fino alla foce
     Del Reba e di Colone all’erto scoglio;
     1060E i Pelopèi Paflàgoni la fronte
     Anco piegâr, quanti ne cinge intorno
     La bruna acqua del Billo. Ma lontano
     Ito Alcide, i Bebríci e l’insolente
     D’Amico prepotenza a me ciò tutto2
     1065Han ritolto, e il mio regno assai reciso,
     E del loro il confin lungi promosso
     Fin dell’Ipio alle lande. Or voi la pena
     Ben pagar lor ne fêste, e sì cred’io
     Che non senza de’ numi assentimento
     1070Il Tindàride eroe portò battaglia
     A’ Bebríci quel dì che il maledetto
     Lor sire uccise. Io di favor sì grande
     Quella tutta mercè che render posso

  1. Var. ai v. 1053-1054. E d’aspetto e di forza; e Alcide a terra

    Gli cacciò fuor delle mascelle i denti.
  2. Var. ai v. 1061-1064. Anco piegâr quanti il Billeo ne cinge
    Con la bruna acqua intorno. Ma da noi
    Lui partito, i Bebríci e l’insolenza

    D’Amico prepotente a me ciò tutto