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libro ii. 99

935Sì disse, ed altri a costruir con pietre
     Tosto un’ara; girando altri si diêro
     Per l’isola a cercar se damma o alcuna
     Lor venisse veduta agreste capra,
     Animanti che in copia hanno covile
     940In cupe selve. E il Lalonide ad essi
     Dienne a far cacciagione; e, come è rito,
     Essi di tutti in doppio zirbo avvolte
     Arsero su la sacra ara le cosce
     Alto invocando il matutino Apollo;
     945E in largo giro intorno all’ostie un ballo
     Danzâr, devotamente il bello a Febo
     Scoccapeán, Scoccapeán, cantando.
     E d’Eagro il buon figlio un inno arguto
     Sciogliendo al suon della Bistonia cetra,
     950A intonar cominciò com’egli, il dio,
     Sotto l’erto Parnaso il mostruoso
     Delfine immane co’ suoi dardi uccise,
     Impube ancora, ancor godente e vago
     Di sua chioma ricciuta. — Oh fausto aspira!
     955Sempre, o signor, son le tue chiome intonse,
     Sempre intatte: è tuo dritto; e sol Latona
     Con le care sue mani le accarezza;
     E seguì come le Coricie Ninfe,
     Del Plisto figlie, a quell’eccidio ardire
     960Gli fêan gridando: Scocca; e d’indi in poi
     Sonò quel grido entro al bell’inno a Febo.
Poi che i prodi onorato ebbero il Dio
     Con danzate canzoni, un sacramento