Entrâr della Tiniade isola, e quivi
Scesero a terra. Di Latona il figlio
Che, di Licia venendo, al numeroso
Degl’Iperbórei popolo tendea, 910Ad essi apparve. All’alternar de’ passi,
Giù cascanti su l’ una e l’ altra gota
Gli ondeggiavano a ciocche inanellati
I capei d’oro: nella manca mano
Lucid’arco vibrava, e la faretra 915Da tergo gli pendea: sotto a’ suoi piedi
Tutta scoteasi l’isola ed i flutti
Frangeano gonfii a terra. Un terror sacro
Tutti gl’invase a quella vista: alcuno
Non osò nell’aspetto almo del nume 920Intender gli occhi, e tutti al suolo il capo
Tenean dimesso. Ei s’involò nell’aere
Lungi su ’l Ponto; e quindi Orfeo rivolse
Agli attoniti eroi queste parole:
Compagni, or sacra al matutino Apollo 925Quest’isola nomiam, quando qui a tutti
Matutino n’apparve; e qua su ’l lido
Eretta un’ara, un sacrificio a lui,
Qual che si può, si faccia: ov’egli poi
Salvo ritorno al patrio suol ne doni, 930Allor le cosce di cornute capre
Gli porrem sugli altari; ora v’esorto
Con adipe odoroso e libamenti
Propizïarlo. — Oh fausto e buono a noi,
Sii sempre a noi nume presente, o sire!