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libro ii. | 97 |
D880’Orcómeno fuggia, Dipsaco nato
Da una Ninfa pratense. A lui superbo
Fasto non piacque, e di suo grado elesse
Abitar con la madre e pascer greggi
Del Fillide paterno appresso all’acque.
885Ora il delubro suo le larghe rive
Di quel fiume, e quel piano, e del profondo
Calpe visto han la foce oltrepassando,
E dopo il dì nella tranquilla notte
Le forze oprâr su gl’indefessi remi;
890E qual solcando uliginoso campo
S’affaticano i buoi laborïosi,
E pioggia di sudor giù per lo collo
E per li fianchi grondano, e i grandi occhi
Strabuzzano di sotto al grave giogo,
895E nell’aride fauci rantoloso
Freme il fiato anelante, e pur calcando
L’ugne dentro al terren per tutto il giorno
Producono il lavoro; in mar que’ prodi
Sì van battendo e ribattendo i remi.
900Quando ancor poi nè la diurna luce
Rifulgea, nè la notte era più fitta,
Ma su l’ombre spandeasi un chiaror fioco,1
Lo qual dall’uom, che al suo lume si desta,
È crepuscolo detto; allor la voga
905Più rinforzando, nel deserto porto
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Var. ai v. 900-902. Quando poi nè del dì la luce ancora
Ma spandeasi su l’ombre un chiaror fioco,
Splendea, nè ormai più fitta era la notte,
Bellotti. | 7 |