325Venne già di me sposa alle mie case.
Tanto ei diceva; e gran pietà di lui
Sentì ciascuno, e più di tutti i due
Di Borea figli. Essi dagli occhi il pianto
Tergendo, a lui si fêr più presso, e Zete, 330Presa al misero vecchio in man la mano:
Oh infelice, gli disse, altr’uom non penso
Ch’esser possa di te più sventurato!
D’onde tanti malanni? Offesa hai certo
Fatta agli dei, con mal consiglio usando 335Dell’arte tua divinatrice; ed essi
Son contra te sì acerbamente irati.
Ben di giovarti è in noi desìo, ma turba
Nostra mente il timor, che a noi quest’opra
Non veramente imponga un dio: solenni 340Gli sdegni son degl’immortali numi
Verso i terrestri. Ond’è che noi le Arpie
Non cacceremo, anco il bramando assai,
Se non giuri tu pria, che a noi per questo
Non corrucciati si faran gli dei. 345Sì disse, e il vecchio alzò vêr lui le aperte
Vuote occhiaje, e rispose in questi accenti:
Pace! di ciò non conturbarti, o figlio.
N’attesto Apollo che insegnommi l’arte
Del profetar; la rea sorte crudele 350Che mi colpì, n’attesto, e questa buja
Nube degli occhi, e i sotterranei numi
(Che infausti in morte a me pur sian, s’io mento),
Niuna avran del soccorso ira gli dei.