Non partite di qua, me abbandonando
Derelitto così, poi che non solo
A me sugli occhi il piè calcò l’Erinne,
E traggo interminabile vecchiaja, 300Ma più acerba, più grave altra sciagura
Anco m’affligge. A me le Arpie di bocca
Strappano il cibo, con furor funesto
Su me, d’onde non so, precipitando;
Né consiglio ho che giovi; e più sarebbe 305Facil cosa, quand’io penso a cibarmi,
Che a me stesso ascondessi il pensier mio
Che non a quelle: a sì rapido volo
Scendon per l’aere. E s’egli avvien che un poco
Di vivande ne lascino, da quella 310Spira tal putre intollerando lezzo,
Che nessun de’ mortali approssimarsi
Pur vi potrebbe, anco se il cuor temprato
Di ferro avesse. E nondimen la dura
Necessità del pasto a restar quivi 315Me costringe, e impozzar que’ putridumi
Nel tristo ventre. A sterminar que’ mostri
Oracolo divino i due disegna
Di Borea figli. E non stranieri aita
A straniero daran, s’io pur son quello, 320Quel Finéo già tra gli uomini famoso
Per opulenza e per profetic’arte;
Ch’ebbi Agénore a padre; e la sorella
Di que’ due Cleopatra, allor ch’io regno
In Tracia avea, con suo dotal corredo