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TERZO. 167

l’artegiano non sarà taverniere, nè giocatore, nè per altre vie otiose dissiparà i suoi piccoli honesti guadagni, havrà senza dubbio bastantemente da potersi sostentare. Ma quello che più importa finita questa breve peregrinatione, al capo della giornata havrà parte nel regno di Dio. Et però ben diceva il santo Tobia confortando il figliuolo: Figliuol mio lo stato nostro è povero, et poveramente viviamo; ma sta di buon animo, et sappi che se temeremo Iddio, havremo molti beni.

Della mercatura. Cap. LXV.

Ha la mercatura i suoi principii nella natura istessa, conciosia che delle cose che sono necessarie al sostentamento della vita de gli huomini, non tutte le Città sono dalla natura proviste à bastanza, ma di alcune cose hanno nel paese proprio maggior copia del bisogno, et di altre mancano, onde da principio nacque la permutatione cambiandosi l’una cosa con l’altra et sollevando gli huomini scambievolmente con la copia, la inopia gli uni de gli altri, benche dapoi per maggior commodità fu ritrovato il danaro, come misura commune et più certa del valore di ciascuna cosa; per tanto sono necessarii nella Republica i mercanti, che portino fuori le merci delle quali il paese abonda, et procaccino da altre parti quelle delle quali ci è mancamento. Ci è poi un’altra maniera di mercatura meno naturale, et più artifitiosa, che consiste nel trafficare l’istesso danaro, et multiplicarlo con cambii, et varii modi, de i quali non ci appertiene di parlare sottilmente. Ma cosi come si è ricordato all’artegiano di vivere in modo che non pregiudichi alla legge di Dio, ne al fine della sua salute, che deve andare avanti à tutti i rispetti, cosi parimente, et molto più si ricorda al mercante, dico molto più perche le occasioni di prevaricare sono maggiori, et non pare che si voglia metter fine, ne termine alcuno allo acquisto dela pecunia, dal quale presupposito di arricchire senza fine, è necessario che seguano infiniti inconvenienti. Sia adunque il mercante istrumento utile della sua Republica, si contenti de gli honesti guadagni, non converta in publica calamità, quello che deve essere sollevamento publico, mentre fa monopolii, mentre procura le carestie, et vende a prezzi immoderati, et merci mal conditionate, et fa altre cose tali, non come agiutore, ma come depredatore de suoi Cittadini, succhiando il sangue de i poveri con varii modi, il pessimo de i quali è l’usura, come altrove s’è detto. Guai à i ricchi mercanti illecitamente arricchiti, guai à i cambiatori secchi, et aridi d’ogni humore di carità, i quali per