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LIBRO |
à bastanza che colui, che ha tolto la roba d’altri, non havrà remissione del suo peccato se non la rende, che sarà della fama, bene di ordine più alto, et di prezzo, et stima senza comparatione maggiore? la onde se gli huomini considerassero con la debita attentione quello che fanno, et in qual necessità si pongono, quando infamano alcuno, per certo più presto si morderiano la propria lingua, che parlare. Inculchi adunque il nostro buon padre al figliuolo dall’un canto l’obligo grande della restitutione, sotto pena della eterna disgratia di Dio, che più horribil cosa non si può nè dire, nè pensare, et dall’altro la difficultà grande di venir come si suol dire all’atto prattico, percioche gli huomini per vano timor mondano non vogliono essere accusatori di se medesimi, nè disdirsi delle false et calunniose, et malediche relationi, et quando pur con più sano consiglio vi si conducono, la cosa non va come della roba, che facilmente si rende ad egualità, ma della fama avviene bene spesso, che l’infamia si è dilatata talmente che il danno è quasi irreparabile, come per esempio, l’honor delle donne è cosa tanto fragile, che per un sonettuzzo, per un libello famoso, ò per una paroletta detta per vantamento, una povera verginella ne resta offesa in modo, che tutta l’acqua del mare non basta à levar la macchia d’una lingua infernale. Oltre che gli huomini imbevuto che hanno una volta una opinione non la depongono di leggiero, anchor che il calunniatore se ne disdica. Et brevemente sono questi casi gravissimi, et pieni di tante, et cosi implicate difficultà, che huomini dottissimi ne hanno scritto lunghi discorsi, a i quali rimettendomi per non passar i termini del nostro instituto, bastimi di ricordare al nostro padre di famiglia, che allievi talmente il figliuolo che viva lontanissimo da questa obligatione, et da i più teneri anni lo avvezzi a saper rifrenar la lingua sua, suggerendogli spesse volte alla memoria quella sentenza di san Iacomo Apostolo, ilquale scrive cosi nella sua Epistola:
Se alcuno si reputa esser religioso, et pio, non rifrenando la lingua sua, ma seducendo, et ingannando il cuor suo, la costui religione è vana, et inutile.
De i due ultimi commandamenti del decalogo. Cap. CXXVIII.
Restano per complimento del Decalogo i due ultimi precetti, intorno à i quali poco ci occorre dire, secondo il modo osservato sin qui, che non è di esplicare principalmente la dottrina, ma di cavar documenti per la nostra christiana educatione. E adunque la sentenza di questi due precetti la seguente: