che il nostro giovanetto, sarà in ogni tempo buono et fidele osservatore del settimo commandamento, et non solo non pigliarà illecitamente dello altrui, ma più tosto darà volontariamente, et liberalmente del suo, che è quella parte che hormai sola tra quelle che a questo precetto appertengono, ci resta à trattare dopo cosi lungo discorso, percioche non basta astenersi dal male, ma bisogna far il bene, et non è intera lode, il non toglier quel d’altri, ma si deve esser pronto alla beneficenza, fuggendo l’avaritia, et la tenacità, vitio sordido, e indegno d’ogni animo ingenuo, et christiano. Hor perche l’instituto nostro, non è di trattar sottilmente delle virtù, non mancando molti che dottamente, et pienamente hanno in ciò satisfatto, ci bastarà a dire, che la liberalità è una virtù morale, la quale è moderatrice de gli affetti nostri, circa il desiderio et cupidità de i denari, et per danaro s’intende ogni maniera di sostanza, et qualunque cosa che col prezzo del danaro si misura, intorno à i quali danari questa virtù si esercita, dispensandogli utilmente dove, et quando et à chi conviene, et ricevendone anchora, ò non ricevendone secondo la regola della ragione; benche maggiormente consista questa virtù nel dare, che nel ricevere, come operatione di molto maggior difficultà, et più lodata, et più honorevole, percioche secondo il detto del Salvatore, Beatius est dare quod accipere, cioè è maggior felicità, et è cosa più eccellente il dare, che il ricevere, et perciò questa virtù fa gli huomini molto amabili, come quella che principalmente si adopra in giovare altrui. Et come avviene delle altre virtù morali, che sono una certa mediocrità tra due eccessi vitiosi, cosi parimente la liberalità è posta nel mezzo tra due estremi, che sono la illiberalità, ò vero avaritia, et la prodigalità, perilche molto s’ingannano alcuni, et spetialmente giovani nobili, et ricchi, che si danno ad intendere di esser liberali, et virtuosi, per spandere, et donare inconsideratamente à buffoni, à parasiti, et ruffiani, et per far conviti, et caccie, et spettacoli al popolo senza altro frutto, che di una vanissima aura populare, i quali in luogo di esser liberali, cadono nel vitioso estremo del gettar la roba, et scuoprono gli altri vitii loro, ò d’intemperanza, ò di ambitione, ò altri tali, secondo la varietà de i fini per i quali profusamente spendono. Ma il vero liberale ha cura della roba sua, et non la dispensa indifferentemente et senza giuditio, per servirsene poi dove è necessario in quei tempi, in quei luoghi, et con quelle persone che l’honesto, et le debite circonstanze della virtù richiedono.