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antologia poetica provenzale | 87 |
Car dison que plouro uno chato
Que l’a fugi coume uno ingrato;
Despièi, soun estello s’acato,
Tant amavo d’amour aquelo que voulié.
Dins soun vilage, cadun l’amo,
Lausant sa vido di plus flamo;
Es gènt, travaiadou, generous que-noun-sai.
D’èstre Maire de la Coumuno,
S’un jour tentavo la fourtuno,
Tóuti li voues n’en farien qu’uno;
Mai jamai a vougu se carga d’aquéu fai.
Un besoun d’ama lou devoro,
E s’envai travaia deforo,
Restant de mes entié, de-fes, liuen de soun mas.
Un cop vendémio, un cop meissouno;
Mai se d’argènt proun amoulouno
Toujour soun verme lou chirouno
E s’agrado souvènt, soulet, dins lis ermas...
Perchè dicono che piange una fanciulla, che l’ha fuggito come un’ingrata; d’allora la sua stella ha impallidito tanto amava d’amore colei che voleva.
Nel suo villaggio ognuno l’ama, lodando la sua vita ch’è delle più belle: è gentile, lavoratore da non dirsi; d’essere sindaco del suo paese se un giorno tentava la fortuna, avrebbe avuto tutti i voti, ma non ha voluto mai occuparsi di ciò.
Un bisogno d’amare lo divora e se ne va a lavorare fuori, restando a volte mesi interi lontano dalla sua fattoria. Una volta vendemmia, una volta miete, ma se ha raccolto abbastanza denaro, sempre il suo verme lo tormenta e gli piace spesso di vagare, solo, nelle lande.