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402 | antologia poetica provenzale |
D’aquéu segroun li-aguè ’n abòusamen
Un tau moulou de rouchiés e de peiras
Que lou grand Rouei encaro coufle, espar,
Per lou pals s’anautè mai d’un quart,
En trepassant toutas las pibouleiras.
L’afar n’eis (a. Mai per aquéu roufian,
Si diguè Diou, fau pas que tout s’ablage.
Qu’eis que farei? Couantro Rouei destafiant,
De vès l’Uba, mandarei un aurage,
Un ventaras que pourtaró l’eissu,
Pertout ei?ai vounte l’eigo o creìssu,
E qu’eibéuró tout aquóu gaboulhage.
Eis aqul mouart lou titan Gargantua,
Lou pitre ubert e la bolhasso voucido.
Que n’en farein, asteuiro que l’an tua?
Un gròus boufet; noun pas l’eisino qu’eido
La man dóu faure a fourjà lóus metaus,
Mai lou boufet que vento lóus coutaus,
Larjo la biso e la Cisampo freido.
L’urto produsse un crollo e un tal cumulo di rocce e di pietre che il gran Rodano ancora gonfiò, e straripato sulle campagne, s’innalzò quattro volte piu sopra il viale dei pioppi. Tutto è finito. Ma a causa di questo scellerato, disse Dio, non bisogna che tutto perisca. Che J L? arrestare i danni dei Rodano, manderò dal Nord un soffio di vento, un gran vento capace di seccare il suolo, ovunque le acque sono stagnanti. E cosi sparirà il fango dei pantani. Eccolo morto il Titano Gargantua, col petto aperto e il suo pancione vuoto. Che ne faremo ora eh è senza vita? Un enorme mantice; non lo strumento del lavoro che aiuta la mano dell’operaio a lavorare metalli, ma I agente che mette l’aria in movimento, soffia la brezza e il vento glaciale.