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antologia poetica provenzale 249


Maurice Raimbault

(1865).

LA VIGNO FÈRO.

Quouro Caio buta d’uno jalousié fulo,
Aguè pièi sagata soun jouine fraire Abèl,
Tirasse lou cadabre i vigno d’Azaèl
E l’entarré, couchous, au revès de la colo.
Ein ’acò s’adraiè souto lou calabrun,
Soun amo tresanavo en rintrant vers soun paire.
Mai Évo demandant ounte leissè soun fraire,
Éu respoundè: «Noun sai» sourrisènt dìns l’oumbrun.
Au cors de l’enfant blound li vise dur pousèron
Uno forco nouvello e, quand venguè l’estiéu,
Sembiavon un lancòu teissu meme per Diéu.
Mai per lou proumié cop si liame rougejèron


LA VIGNA SELVAGGIA.

Quando Caino, spinto da una folle gelosia, ebbe sgozzato il suo giovane fratello Abele, trascinò il cadavere alle vigne d’Azaele, e lo seppellì, di nascosto, dietro la collina. Ciò fatto riprese la sua via sotto il crepuscolo, l’anima sua trasaliva rientrando in casa, ma quando Èva gli chiese ove avesse lasciato suo fratello, egli rispose: non so! sorridendo nell’ombra. Nel corpo del fanciullo biondo le dure vigne attinsero una nuova forza, e quando venne l’estate, sembravano un lenzuolo tessuto dalla mano di Dio stesso. Ma per la prima volta i loro grappoli rosseggiarono.