gna che siano lasciati sfiorire, perchè si perderebbero i frutti, e in alcuni bisogna lasciare i frutti per molto tempo, innanzi che si colgano, acciò che si maturino.» Le cose della natura, l’aquila, il pellicano, le tortore, lo sparviere, le appaiono di solito a traverso le favole dei libri: essa crede che il corallo s’abbellisca o si oscuri secondo la sanità dei bambini che lo portano. Ma non ha dimenticato i cardellini e gli altri piccoli uccelli dilettevoli: essa ricorda con gentilezza da San Francesco d’Assisi, le dimestiche colombe, «il cui canto è il gemere, però che gemendo canta, e cantando geme. » Essa ha notato che la colomba «non mangia di quei frutti che sono in alto, ma si ciba di semi che sono radicati in terra.» Ha assistito a qualche caccia d’autunno, e dice della starna: «volendo pigliarla, bisogna appuntare il luogo dove abita nella luce del dì, e nella notte andare a pigliarla con luce particolare... »