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Cap. XII.

Della tristizia ch'ebbe frate Ginepro della morte d'uno suo compagno.


AAvea frate Ginepro uno compagno frate, il quale intimamente amava: et avea nome Amazalbene. Bene avea costui in sé virti di somma sapienzia et obbedienzia; perocchè, se per tutto il díi fosse stato battuto, mai non si rammaricava, né richiamava solo d’una parola. Era ispesso mandato a’ luoghi dov’era malagevole famiglia in conversazione, da cui riceveva molte persecuzioni: le quali sostenea molto pazientemente, senza alcuna rammaricazione. Costui, al comandamento di frate Ginepro, piagnea e ridea. Or morî quena sto frate Amazalbene, come piacque a Dio, con ottima vita e santità: et udendo frate Ginepro della sua morte, ricevettene tanta tristizia nella mente sua, quanto mai in sua vita avessi ricevuta di neuna cosa temporale o sensuale. E cosî dalla parte di fuori dimostrava la grande amaritudine ch’era dentro, e dicea: — Oimé tapino, che ora non m’è rimaso alcuno bene; e tutto il mondo per me è disfatto nella morte del mio dolcissimo et amatissimo frate Amazalbene! — E diceva: