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Ritornasi frate Ruffino nella cella sua nella selva, et istandosi con molte lagrime in orazione, eccoti venire il Nemico in persona di Cristo, secondo l’apparenza di fuori, e dicegli: — O frate Ruffino, non t’ò io detto che tu non creda allo figliuolo di Pietro Bernardoni, e che tu non ti affatichi in lagrime et in orazioni, però che tu se’ dannato? Che ti giova afriggerti, mentre che tu se’ vivo, e poi quando tu morrai sarai dannato? — E subitamente frate Ruffino gli rispose: — Apri la bocca, che mo vi ti caco. — Di che il dimonio isdegnato, immantanente si parte con tanta tempesta e commozione di pietre dello monte Subbasio, che era ivi allato, che per grande ispazio bastò il ruvinio delle pietre che cadevono giú; et era sí grande il percuotere che faceano insieme le pietre nello rotalare, che isfavillavano fuoco orribile per la valle; et allo romore terribile ch’elle faceano, sancto Francesco et i compagni con grande ammirazione uscirono fuori dello luogo, a vedere che novità fosse quella, et ancóra vi si vede quella rovina grandissima di pietre. Allora frate Ruffino manifestamente s’avide che colui era istato il dimonio, il quale l’avea ingannato. E tornando a sancto Francesco, anche da capo si gittò in terra e riconoscié la colpa sua. E sancto Francesco ancóra il conforta con dolci parole, e mandanelo tutto consolato alla sua cella; nella quale, istandosi elli in orazione divotissimamente, Cristo benedetto gli apparve e tutta l’anima sua