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il naso per così bella cosa, come questa donna, e non lo ti strignesti per la carogna che noi trovammo innanzi? L’Angiolo disse: Perchè pute più a Dio la vanagloria che tutte le carogne del mondo. E detto questo, subito gli sparì dinanzi: e allora conobbe il romito ch’egli era amico d’Iddio, e suo messo.

CAPITOLO XXVII.

Della costanza appropriata alla fenice.

Costanza, fortezza, ovvero stabilità, secondo Isidoro, si è fermezza in uno proponimento: ma non debbe però l’uomo essere tanto fermo nel proponimento, che cadesse nel vizio che si chiama durezza. Andronico dice: Durezza si è a non voler mutare proponimento per alcuna evidente cosa. E puossi assimigliare la virtù della costanza a uno uccello c’ha nome fenice, la quale vive 315 anni; e com’egli si vede invecchiato, sicchè la natura gli manchi, si raccoglie certi legni odoriferi e secchi, e fanne un nidio, e poi entra in questo; e stando vòlto in verso la spera del sole, e battendo l’ale, il fuoco s’appiglia nel nidio per lo calore del sole; e questo uccello è tanto costante che non si muove, anzi si lascia ardere, perch’egli sa naturalmente ch’egli si dee rinnovare in capo di nove dì; e dell’umore del corpo suo nasce uno vermine, che cresce a poco a poco, e poi rimette le penne, e convertesi in uccello: sicchè mai non