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capitolo xxiv. 75

chiamò un dì, e miselo nella sua sede, e sotto gli fece accendere un gran fuoco, e di sopra la testa gli fece appiccare una grande spada, legata con una setola di cavallo; e intorno gli mise tutte le gioje ch’egli avea. Guardando costui là dov’egli era, incontanente si levò suso, e pregò il Re che lo lasciasse partire di quello luogo. Allora il re Dionisio gli disse: Tu lodavi molto la vita mia: dunque non la lodare più; chè io sto continovamente in maggiore timore che quello là dove tu eri e tu non vi se’ potuto stare un’ora.

CAPITOLO XXV.

Della magnanimità appropriata al girfalco.

Magnanimità, secondo che Tullio dice, è a intendere in alte e nobili cose e di grande valore, non ammiserando l’animo a cose vili e di niente utilitade, ovvero necessitade, ma cercando con animo magno di cose durabili e degne d’onore e di laudabile fama. E puossi appropiare la virtù della magnanimità al girfalco, che si lascerebbe in prima morire di fame, ch’egli mangiasse d’una carne marcia; e non si diletta prendere se non uccelli grossi. Santo Agostino dice della magnanimità: Lo leone non fa guerra alla formica, e l’aquila non prende le mosche. Tullio dice: L’animo della valorosa persona si conosce per le grandi opere. Seneca dice: Alcuna cosa non è sì forte, nè sì aspra che l’animo delle persone non la vinca.