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vescovo, rinunziando alle ingiuste pretese sulla metà dei prati di Sacco, e promettendo di non più ristaurare le torri e fortificazioni sopra le vie, demolite nella passala rivolta. A quest’atto di riconciliazione presero parte, per quanto li riguardava, anche il conte del Tirolo e il Comune di Trento1.
Poco dopo ebbe pur luogo l’accordo fra il vescovo nostro ed Ulrico signore di Arco. In presenza di quasi tutta la nobiltà del paese, il conte Ulrico rinunziò alla somma di tre a quattromila lire veronesi che pretendeva dalla Camera vescovile, e ne restituiva i pegni. Egli si obbligava oltreciò di distruggere i molini sul Sarca, coi quali impediva la pesca; di consegnare al vescovo, affinchè lo impieghi a beneficio della sua Chiesa, il danaro estorto agli uomini della Valle di Ledro; di far demolire le forche levate presso Arco, di non esercitare altra giurisdizione civile e criminale che sulla propria gente, e di manifestare tutti i suoi privilegi di esenzione dai dazii, od altre prerogative; di giurare, assieme ai fratelli, vassallaggio al vescovo. Il quale, in ricambio, gli condonava le ingiurie sofferte e gli indennizzi che ne poteva richiedere; col patto però che non facesse più lega coi Comuni di Verona e di Brescia2.
Messo in calma e sicurezza lo stato, il vescovo Federico rivolse le sue cure a ricuperare i diritti perduti su molti beni del Vescovato e ad acquistarne di