gliarono il castello di Trento, in cui soggiornava il prelato. A questi si aggiunsero li 30 agosto i villani di Nomi, di Pomarolo, di Nogareto, d’Isera e della valle Lagarina. Li 31, i nobili della città di Trento, seguiti dal popolo, assalirono il campo dei villani, i quali, dopo lunga e ostinata resistenza, si ritirarono. Il 1.° settembre, i cittadini, scortati dalle milizie ausiliarie, si scagliarono contro i villici di Baselga, di Sopramonte, di Cadine, di Cavedine, di Terlago e di altri comuni oltre l’Adige, i quali erano discesi fino alla Scala, a vista della città, e ne fecero 15 prigioni, colla morte di altri tre; levando loro gli armenti, e condannando i più facoltosi a multe di denaro gravissime. Nel medesimo giorno, i villani di qua dall’Adige, unitisi di bel nuovo nella campagna del Cirè, stabilirono di dare il sacco al borgo di Pergine. Del che accortisi i Perginesi, chiamati in ajuto i canopi o minatori e provvedutisi di artiglieria, mossero l’armi contro di essi. A sì inaspettata comparsa, i villani, ridivenuti mansueti, chiesero qualche vettovaglia, e si ritirarono verso Trento, di qua e di là dall’Adige, fissando il loro accampamento in parte a Cadine e in parte a Cognola. Sopravennero dalle parti superiori della valle dell’Adige trenta armati, prima collegati ai danni della Chiesa ed ora convertiti dai commissarii dell’arciduca; i quali ammonirono i contadini del Trentino a desistere dalla loro impresa e a giurare fedeltà al vescovo e all’arciduca. A ciò si aggiungeva la mancanza repentina dell’ajuto sperato dagli abitanti delle valli di Annone e di Sole, i quali, mossisi verso Trento a lor favore