acconsentiva, ma non così il contado. I Levicani, quelli di Caldonazzo e della Valsugana ricusarono apertamente di ubbidire; e il loro esempio seguirono pure gli uomini delle valli di Annone e di Sole, di Nomi e della valle Lagarina. Li 18 agosto il conte di Ortenburg dà al vescovo Bernardo la facoltà di adoperare i soldati che vanno in Italia, per castigare quelli di Nomi, secondo anche la commissione dell’arciduca, il quale, scrivendo al Clesio, brama di essere informato della verità dell’incendio della villa di Nomi, e dell’esito dell’impresa. Il suddetto conte di Ortenburg, li 19 d’Agosto, scusa presso il vescovo l’arciduca, se, a motivo delle presenti strettezze e della mancanza di denaro, non procede con quelle punizioni rigorose contro i Numiani ed altri ribelli che sarebbe disposto di usare; stimando prudente il sospendere alquanto la sua risoluzione, tanto più che è sì grande l’innobedienza delle provincie verso di lui, che non si può dire padrone di un fiorino. Dello stesso giorno è la lettera diretta al vescovo da Andrea Reggio, nella quale informa, che il dì antecedente, nella piazza di Cles, molti delle pievì di Denno, di Tassullo e di Cles, dopo la lettura delle credenziali del vicario di Bolgiano, fatta dall’assessore delle valli, risposero: non essere tenuti a ripetere l’atto di fedeltà giurato altra volta; il decreto contro i tumultuanti non estendersi a loro, stati sempre fedeli; voler osservare gli Statuti trentini. Aggiunge che, essendo mancanti molti al convegno, furono citati a comparire per l’indomani, domenica, sotto pena di bando; che niuno della villa di Mechel avea voluto